Stefano Faggioni, coinvolto in qualità di Direttore e Presidente del Comitato ARIE per il Restauro de Il Leone di Caprera, rivela i dettagli di quella che è considerata una delle più meritorie operazioni di recupero di un bene storico.

Di Stefano Faggioni – Ottobre 2011
Foto Archivio Faggioni
Il Leone di Caprera in Galleria Vittorio Emanuele a Milano nel 2011IL LEONE … E UN’ A.R.I.E. TE  DI NOME SERENA GALVANI
Dell’incredibile storia de Il Leone di Caprera si è già scritto molto, anche in questa web magazine; il mio intento è però quello di puntualizzare le fasi del restauro del prezioso cimelio. Innanzitutto va specificato chiaramente che senza la perseveranza dell’amica Serena Galvani e della sua A.R.I.E. (Associazione per il Recupero delle Imbarcazioni d’Epoca), questo restauro non sarebbe stato neanche immaginabile. Lei ha questa capacità di picchiare come unariete finché non riesce a portare in porto quello che si è prefissata; è una grande dote, soprattutto quando si ha a che fare con le Istituzioni che in questo caso finanziavano il restauro. I fondi, per l’appunto, erano del Ministero dell’Ambiente, ricevuti dal Comune di Camerota.

ERA IL 2007 …
Quando mi chiama Serena per sovrintendere ai lavori di restauro dell’importante cimelio è l’autunno del 2007. I lavori di restauro iniziano neiprimi giorni del 2008 con l’arrivo del battello in Cantiere a Livorno e dopo il deferimento dall’incarico del mio predecessore. Delineo fin dal principio la mia filosofia per affrontare questo importante restauro museale espositivo e decido di intervenire all’insegna della massima conservazione di tutte le parti originali del battello, dai legni alle parti metalliche, incluso il rivestimento dell’opera viva a lastre di rame. Per quest’ultima operazione però si necessita intervenire dall’interno del battello, aldilà del fasciame interno per poter arrivare ad impregnare anche l’intradosso dello scafo senza dover rimuovere neanche una lastra. Ma innanzitutto è necessario approcciare questo, come ogni altro tipo di restauro, con un rilievo dal vero delle forme e dello stato attuale della coperta. Decido di coinvolgere in questa fase il Politecnico di Milano che, nella persona di Gabriele Guidi, arriva in Cantiere con una squadra di collaboratori per un accurato rilievo fotogrammetrico.
Concluso il rilievo, procedo all’analisi dello scafo che porta i segni di anni di sofferenze e abbandono tra un cortile di museo (quello della Scienza e della Tecnica di Milano) e una grotta a cento metri dal mare (a Marina di Camerota, in provincia di Salerno). 

Stefano Faggioni e Serena GalvaniIL LEONE DI CAPRERA, UN SOLIDO BATTELLO DEL 1879
Il Leone di Caprera
 è un battello estremamente solido e magistralmente realizzato dal maestro d’ascia Luigi Briasco di Montevideo, in Uruguay, nel 1879. Non a caso era già intenzione dello stesso Vincenzo Fondacaro, aspirare a donare la barca ad un museo una volta sbarcato in Italia, quale testimonianza della genialità e capacità dei costruttori italiani anche all’estero. Una sorta di portabandiera di chi la Patria la poteva solo sognare e per questo la idealizzava. La bellezza degli accessori, infatti, non ha eguali e la raffinatezza dei particolari stupisce se si pensa che la barca fu costruita con enormi sacrifici economici da parte del Fondacaro, che si ingegnava per trovare fondi presso improbabili sponsor.

IL FASCIAME E’ SANO
Presenta un fasciame esterno straordinariamente sano, ancora con l’opera viva ricoperta dalle sue lastre di rame originali. La coperta, invece, ha sofferto tutti gli sbalzi di temperatura e lo stillicidio perpetuo della grotta che insistendo in particolar modo sul lato di dritta, ha completamente eroso le doghe penetrando così all’interno fino a corrompere il fasciame interno e parte di quello esterno fino alla lastra di rame. I bagli, stranamente posizionati di piatto per non ridurre la già esigua altezza interna, sono completamente deteriorati e hanno col tempo perduto la loro originale bolzonatura.

LA RIMOZIONE DELLA COPERTA
Eseguito il rilievo e l’analisi del cimelio intendo procedere con la rimozione accurata di tutto il fasciame di coperta una doga per volta, facendo attenzione a non spezzare il legno già molto provato, per poi rimontarlo al lato dello scafo e trattarlo con sostanze antitarlo e antiteredo. Lo scafo, una volta liberatosi della coperta, avrebbe facilitato l’accesso all’interno dove si sarebbe lavorato per il risanamento delle parti danneggiate dello scafo e per rinforzare e ricostruire una serie di bagli in legno lamellare che ridessero la forma al bolzone ormai completamente annullato dal cedimento dei bagli originali. Qui mi scontro con il cantiere, che è invece determinato a procedere in tutt’altra maniera ovvero, inserendo all’interno della barca un martinetto idraulico che, facendo forza sulla chiglia e su alcuni bagli (ormai inconsistenti), avrebbe sollevato tutta la coperta riportandola alla bolzonatura originale; operazione praticamente impossibile, sia per le condizioni dei bagli sia per l’impossibilità di accedere all’interno e quindi lavorare laddove lo spazio a disposizione non offre altezza superiore al metro e 20 centimetri. Dopo alcuni mesi di inattività è lo stesso Cantiere a confessarmi che la sua idea di intervenire con il martinetto idraulico sarebbe stata un fallimento (secondo le mie previsioni) e di questo me ne rende atto rimettendosi, questa volta in maniera più convinta, alle mie decisioni.

UNA SELLA METALLICA PER IL LEONE
Il Cantiere Old Fashioned Boats di Livorno realizza così un’ottima sella metallica
 che ha la duplice funzione di mantenere intatte le forme dello scafo durante le lavorazioni e trasportarlo una volta restaurato. Solo dopo queste operazioni, hanno inizio i lavori del restauro conservativo. Da subito si inizia a rimuovere il fasciame di coperta prestando grande attenzione alle pessime condizioni del legno e al fatto che comunque è ancora unito ai bagli da chiodi in rame ribattuti all’interno. Si numera ogni singola doga e si adagia al lato dello scafo su un piano orizzontale in maniera da ricomporre la coperta in ogni sua parte. 

Studio FaggioniI SERBATOI DI ZINCO E LA SCRITTA ‘GARIBALDI’
È ora possibile operare all’interno dello scafo rimuovendo dapprima i numerosi serbatoi stagni di zinco che servivano a rendere il battello “inaffondabile” (su uno di questi si è scoperta addirittura la data e la firma dell’esecutore) e successivamente a realizzare sei bagli in legno lamellare che hanno il compito di irrobustire la struttura e di ripristinare la bolzonatura originale perduta con il cedimento dei vecchi bagli. All’interno scopriamo addirittura una scritta “Garibaldi” sicuramente lasciata dai tre eroi durante la navigazione in preda all’esaltazione nel compiere un’impresa tanto valorosa. Nel ripulire doga per doga tutta la coperta originale, scopriamo che le essenze usate sono diverse tra loro a filari alterni chiari e scuri. Il pozzetto è perfettamente stagno, chiuso verticalmente come una vera e propria botte.
 
IL RISANAMENTO
Dopo aver risanato anche il fasciame interno, danneggiato soprattutto nel lato di dritta, e trattato il tutto con impregnante anti-teredo, si procede afermare il deterioramento del legno con una speciale resina immediatamente assorbita dal legno originale. Lo stesso trattamento è stato riservato anche all’alberatura superstite. Infine, si riposiziona a bordo tutta la coperta originale e si chiudono i buchi lasciati dalle doghe inesistenti o troppo provate con altre nuove in legno di iroko, in modo da rimarcarne l’intervento. Anche il tambuccio di accesso all’interno, date le sue pessime condizioni, è stato completamente sostituito da uno nuovo in tutto conforme all’originale ma in legno di iroko come le nuove doghe.  Il tambuccio originale, così come tutti gli altri pezzi di interesse trovati all’interno di un serbatoio di zinco (pezzi di cordame, alcuni canestrelli metallici di rispetto e qualche bozzello), serviranno all’allestimento dell’esposizione permanente del cimelio all’interno del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Tutte le ferramenta di coperta, una volta smontate e catalogate, sono state semplicemente pulite dalla patina verde, non spazzolate a macchina né, tanto meno, trattate con prodotti chimici.

L’AFFASCINANTE PATINA DEL TEMPO …
Il risultato è un bene storico che conserva intatta tutta la sua affascinante patina del tempo e che non mostra affatto i segni di un grande lavoro di restauro, tanto accurato da svanire agli occhi di chi lo ammira.
 
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