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Cronaca di un sopralluogo compiuto all’Isola del Giglio qualche giorno dopo la tragedia della nave Costa Concordia, semi-affondata di fronte all’isola dell’Arcipelago Toscano nella notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012.
Di Serena Galvani – Luglio 2012
Fotografie di Serena Galvani
 
Premessa
Questo reportage, realizzato da Serena Galvani, è una toccante testimonianza di quanto visto all’Isola del Giglio all’indomani dell’affondamento della Costa Concordia. Destino ha voluto che l’infausto evento avvenisse nel centenario della sciagura del Titanic, quasi a volerci ricordare che il progresso non ha cancellato la possibilità che tragedie come questa accadano anche nell’era moderna. La nostra ‘contributor’, anche autrice di tutte le immagini, descrive con rara sensibilità ciò che ha visto e sentito, delineando i contorni di un dramma quasi inspiegabile e facendo emergere il dolore, il senso di vuoto e desolazione generato dalla disgrazia.
Consegnamo questo bell’articolo alla grande rete Internet, certi che un domani entrerà a fare parte della storia della tragedia della Costa Concordia. Grazie Serena.
Il Direttore
 
La tragedia del Concordia (1)GENNAIO 2012: SBARCO ALL’ISOLA DEL GIGLIO
Com’è profondo il mare…” scriveva e cantava il compianto Lucio Dalla alla fine dei begli anni Settanta. Qualcuno di noi andava già per mare e conosceva l’arte del navigare. In molti citavamo quella canzone, il cui testo è quanto mai attuale, e tutti guardavamo il mare riflettendo su quanto fosse davvero profondo. Così profondo da inghiottire tutto, lasciando sbigottiti perfino i pesci, e restituendoci quella precaria sensazione che lì sotto ogni cosa si dilegua e si perde, come se non esistesse una fine. Così per gli oggetti, i ricordi, le cose utili e inutili, i sacrifici, i sensi, la vita, la morte e perfino le anime.
Questo è ciò che abbiamo provato, quando siamo sbarcati all’isola del Giglio, neppure venti giorni dopo il memorabile disastro, in una tiepida e velata giornata d’inverno.
 
LA NAVE, UN CAPODOGLIO AGONIZZANTE
Ancorato a forza agli scogli come un enorme e agonizzante capodoglio, così enorme da apparire ancora più inerme, con la sua meteora piantata nella pancia e uno squarcio rosso sangue come una ferita, ecco apparirci da lontano il mastodontico e silenzioso relitto, una delle punte di diamante della Compagnia di navigazione genovese, stretto in una tragica deriva, quasi a occludere il piccolo porto, come fosse un bastimento di cartapesta buttato in quel luogo chissà per quale tragica sorte o drammatica scenografia.
Uomini piccoli come insetti a scalare in tutte le sue parti l’enorme scritta ‘COSTA CONCORDIA’, a esplorare i brividi di quel cosmo semiaffondato, a fendere quella fitta nebbia di ostacoli alla ricerca del tutto e del nulla, ma soprattutto delle vite umane incastrate là sotto, ma chissà dove.
Eppure a guardarla da lontano quella lunga nave concedeva agli astanti solo l’indifferente freddo del suo acciaio, come una lingua di ferro abbandonata tra la costa e il buio degli abissi.
 
I VOLONTARI, LE TELECAMERE … E UN VUOTO SPETTRALE
Intorno a quel gigante morente, il lavoro dei soccorritori e dei volontari verso tutti e contro tutto. L’estesa platea di telecamere, giornalisti e TG, installati sui moli, nelle strade e perfino sulle finestre e le terrazze delle case della bella isola toscana, pronta a puntare i suoi tragici riflettori per andare in onda ‘minuto per minuto’ su una vicenda che ha scioccato, annichilito e straziato tutto il mondo e ha trasmesso relitti di una martellante e devastante cronaca. Una cronaca così dura, da essere assimilata a quel ferruginoso senso di vuoto che il Concordia ha diffuso intorno a sé e che, ancor più della morte, ancora oggi, stupisce, sovverte e sconvolge, a tal punto da comprimere le nostre commozioni in un’assurda e destabilizzante sensazione di vuoto. Un vuoto immenso e inamovibile, vitreo e muto. Un vuoto quasi spettrale, come in una scena del teatro greco che mostra il proprio ‘drama’, ovvero la propria rappresentazione diretta, e che si fonde con qualcosa che diventerà, anzi è già, un aberrante mythos.
 
La tragedia del Concordia (19)IL TURISMO DELLA TRAGEDIA
Così ci hanno narrato di sconvolgenti aste su ‘e-bay’ di modellini e oggetti della Compagnia, di libri scritti su una vicenda ben lungi dall’essere conclusa, di spaghetti serviti fuori stagione su piatti di carta a 20 euro e più, di attori portati in TV a raccontare con studiata pietà un naufragio che non hanno mai vissuto e, perfino, di barzellette su un comandante trattosi in salvo sopra a tutti, a cui, oltre che la miserabile onta della vergogna su cui aleggia la morte di trentadue passeggeri, non resta che “inchinarsi” davanti a Dio per chiedere perdono.
Su quella scena abbiamo visto sedie e pezzi di broccato recuperati da un mare dove tutto galleggiava nel buio, giocattoli di bimbi appesi a cartelli stradali e masse di turisti sbarcate a fiotti dai traghetti che, anziché andare una domenica all’IKEA, viravano curiosi tra la vita e la morte di questa terribile sciagura, alla perversa ricerca di un ‘click’ da scattare con sorriso indiscreto davanti a quello scheletro di ferro dentro cui ancora pulsava l’anima di tanti dispersi, mentre una madre disperata attaccava volantini sui muri delle case con la foto del suo amato figlio, in grado ormai di giacere solo nel dolore del suo cuore.
 
LA GELIDA CARCASSA E IL ‘PERVERSO’ INCHINO
Tra le lacrime di molti abbiamo visto, letto e sentito di tutto. Ma non sappiamo ancora nulla sui perché e i ‘per come’ di questa epocale vicenda. Fino almeno a quel momento, non abbiamo neppure visto una Croce piantata sugli scogli, protesa verso il profondo di quel mare in una cristiana e doverosa genuflessione verso chi non ha potuto continuare, né vivere, la propria vita, perché è soprattutto a costoro e alle loro Famiglie, vittime di un incommensurabile e ingiusto dolore, che va il nostro più sentito rispetto. A distanza di tutti questi mesi rimane solo il come e il quando inizieranno a rimuovere quella gelida carcassa il cui perverso ‘inchino’ forse, tra cinquanta o cento anni, qualcuno ‘celebrerà’, organizzando visite guidate in memoria di una sconvolgente sciagura, così come è avvenuto per il Titanic. Ma un mare senza tempo, come un padre discreto e rispettoso, avvolgerà tra le sue onde quel profondo dolore, col silenzio di un urlo senza voce.
 
 
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