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Storia della peota lusoria dei Savoia, l’unico piccolo Bucintoro veneziano sopravvissuto al mondo, costruito nella città lagunare nel 1731 e oggi esposto al pubblico presso la Reggia di Venaria, a Torino. Il restauro della ‘nave dei Re’, donata nel 1873 da Vittorio Emanuele II ai Musei Civici Torinesi, è costato 250.000 euro.

Di Luigi Griva – Luglio 2013
Fotografie Archivio Luigi Griva
 
Il torinese Luigi Griva ha frequentato il Corso di Tecnica Archeologica Subacquea presso la Base Sperimentale di Bolsena, con Alessandro Fioravanti. Collaboratore volontario di Luigi Fozzati  al Cantiere di Viverone  (BI) della Soprintendenza Archeologica del Piemonte, ha partecipato a diverse missioni in mare e nelle acque interne. Tra queste il recupero nel 1982 della Piroga di Bertignano presso Viverone, del tardo Bronzo. Ricercatore di Storia Navale Sabauda, ha legato il suo nome agli studi sulla Peota lusoria di Carlo Emanuele III di Savoia del 1731, pubblicandone dal 1995 i risultati su Studi Piemontesi e Studi Veneziani. Si occupa anche di divulgazione scientifica, con articoli su Tuttoscienze de La Stampa, Piemonte Parchi, Archeologia Viva. Socio del Centro Studi Piemontesi e dell’AIDMEN, Associazione di Documentazione Marittima e Navale, è Conservatore del Civico Museo Navale di Carmagnola (TO).
 
La peota dei Savoia a Torino (1)IL MINI-BUCINTORO DA TRE SECOLI A TORINO
Se non mi fosse capitato di persona avrei avuto difficoltà a crederlo, eppure l’unica imbarcazione veneziana del Settecento ancora esistente, e in relativamente buono stato di conservazione, l’ho riscoperta io e dal 1985 ne ho cercato e pubblicato i documenti d’Archivio che ne ricostruiscono la storia. Era davvero impensabile che la meno marinara città d’Italia, la mia Torino, avesse conservato per quasi tre secoli, dal 1731, l’unico piccolo Bucintoro veneziano sopravvissuto nel mondo.
 
LE CARATTERISTICHE DELLA ‘PEOTA DEI SAVOIA’
L’abbiamo chiamata in vari modi: la peota dei Savoia, la nave dei Re, la barca sublime. Così si intitola la Mostra che presenta l’imbarcazione dopo i restauri a cui è stata sottoposta presso il Centro Conservazione e Restauro della Venaria e che ha riaperto a marzo 2013 nelle scuderie juvarriane della Reggia di Venaria, presso Torino, dove sarà esposta per il futuro. E’ una nave lusoria, ossia di divertimento e rappresentanza. Misura 16 metri di lunghezza per un massimo di 2,70 metri di larghezza e pesa circa 60 quintali.
 
Gli ornamenti della peota (1)LA COSTRUZIONE IN QUERCIA DEL BURANESE MASTRO ANTONIO
Lo scafo robusto, in legno di quercia, è stato impostato forse già nel 1730 nell’isola lagunare di Burano da mastro Antonio, esperto carpentiere, comepeota, un tipo navale molto diffuso tra il 1600 e il 1800 in Adriatico ed usato per la pesca e il piccolo cabotaggio. Il timone è a filo della ruota di poppa e alzava una vela, forse a tarchia: dell’attrezzatura si sono conservati l’albero, il boma e l’antenna. Disponeva anche di otto remi e di altrettanti scalmi per le manovre di attracco, mentre un grosso anello a prua indica la posizione del cavo di alaggio per il traino fluviale controcorrente. Lo scafo grezzo è costato 240 Lire di Venezia, più 250 di ferramenta: la fornitura comprende anche “il fero da buttar a fondo“, cioè l’ancora.
 
IL ‘TIEMO’ COSTRUITO A VENEZIA
L’allestimento artistico, che prevedeva anche una cabina di 5,20 metri per gli ospiti regali, tiemo in veneziano, munita di 10 finestrelle, è effettuato a Venezia, in rio dei Mendicanti, nei primi mesi del 1731  presso lo “squero di padron Zuanne (Giovanni)”. Tuttora nel rio esiste un cantiere per la riparazione delle gondole. Il progetto (forse un modello in cera, andato perduto)è operadello scultore Matteo Calderoni. Egli aveva già collaborato, con i confratelli della “Fraglia degli Intagliatori”, alle sculture dorate del Bucintoro dogale varato nel 1728, quello progettato da Antonio Corradini, ben più grande e costruito su uno scafo di galea da cento remi. Questo Bucintoro del 1728 è lo stesso che ritroviamo nelle numerose  tele del Canaletto sparse per il mondo ed ebbe un tale successo che molti dei reggenti degli Stati rivieraschi del Po, come il duca di Modena, il vicerè di Milano e i cardinali delle Legazioni Pontificie ne vollero anch’essi dei più piccoli, per le loro navigazioni fluviali. La commessa dei Savoia è riferibile a Carlo Emanuele III, dal 1730 re di Savoia e Sardegna dopo l’abdicazione del padre Vittorio Amedeo II.
 
SCULTURE DORATE E UN NARCISO SULLA PRUA
La barca è ricca di sculture  dorate: a prua fa da polena un Narciso che si specchia nelle acque, affiancato da due vegliardi che versano acqua da due otri, personificazione del Po e dell’Adige (i due maggiori fiumi del Piemonte e del Veneto). Il gruppo si eleva fino a 2,40 metri. A poppa ci sono cavalli marini e la barra del timone, in veneziano ribolla, è scolpita a forma di drago, o serpente; un bell’intaglio opera di Egidio Goyel, collega del Calderoni. Lungo le murate, di colore rosso cinabro, corre una fascia decorata con intagli in bassorilievo dorati. L’opera viva è nero pece. Il tiemo era decorato con broccati e tendaggi, che sono andati perduti. Il costo totale della fornitura, che comprendeva anche una burchiella (una imbarcazione oneraria, per il trasporto degli elementi smontati del bucintoro) e una gondola nera, da usare come tender della barca principale, assomma a 16.228 Lire di Piemonte. Per dare un’idea del valore, lo stipendio annuo di  un Ammiraglio della Marina Sabauda  in quegli anni era di 12.000 Lire all’anno .
 
La prua della peotaAGOSTO 1731: COMINCIA IL VIAGGIO DA VENEZIA A TORINO
Il convoglio delle tre imbarcazioni, con sette uomini per il governo delle stesse, è pronto a fine luglio 1731, dopo le operazioni di carico e doganali. Le statue dorate sono state protette con stoppa e tele cerate, gli arredi della peota smontati. A bordo viaggia pure un giovane frate agostiniano, Brunello, incaricato della tenuta di un libro di bordo e della gestione delle spese di viaggio. Sono documenti che hanno permesso la ricostruzione particolareggiata del viaggio di risalita. Il 2 agosto inizia il trasferimento. Il primo tratto è di navigazione in laguna, a vela, toccando Ghioggia e Brondolo. Quindi, attraverso il traino con cavalli e risalendo i canali endolagunari, il convoglio raggiunge Pontelagoscuro, il porto di Ferrara nello Stato delle Legazioni pontificie, e si immette nel Po.
 
DAZI E DOGANIERI LUNGO IL PERCORSO
Le istruzioni  che il frate Brunello ha ricevuto sono di viaggiare esclusivamente di giorno, fermandosi  alle ripe per le soste notturne e dormendo a bordo delle navi. Sono frequenti gli incontri con imbarcazioni di doganieri degli Stati rivieraschi ai quali vengono esibiti i permessi, precedentemente procurati dall’Ammiraglio del Po sabaudo, ma vengono anche pagati i dazi. Così è a Brescello, il paese che oggi conosciamo come parrocchia di don Camillo, dove le tre imbarcazioni sono controllate dal bergantino, la barca che i doganieri del duca di Modena utilizzano per la riscossione dei diritti di transito.
 
L’ARRIVO AL PONTE VISCONTEO DI PAVIA
Alla confluenza del Ticino nel Po la burchiella si ferma ed il carico viene trasbordato su due  imbarcazioni di minor pescaggio, mandate incontro dall’Ammiraglio del Po di Torino. Il frate Brunello raggiunge invece con il Bucintoro sabaudo il ponte visconteo di Pavia, che in quegli anni (non esiste ancora il naviglio pavese) funge da porto di Milano. L’agostiniano ci tiene infatti a visitare la basilica di San Pietro in Ciel d’oro, dove è custodita la sepoltura di Sant’Agostino, protettore dell’Ordine, e il 15 agosto, giorno dell’Assunta, si ferma presso i confratelli.
 
LA RISALITA DEL FIUME CON IL TRAINO DEI BUOI
Il viaggio riprende, risalendo il fiume con traino di buoi, mandati da Casale: le sponde dei fiumi erano per legge tenute sgombre, per poter effettuare i rimorchi, lungo i marciapiedi di alaggio. Il 26 agosto sono a Frassinetto, il porto di Casale, ormai in territorio sabaudo. Qui gli uomini possono finalmente dormire in un letto, ospiti del Direttore delle Gabelle. Il tratto da Casale a Torino è il più difficile della risalita, per la presenza di rocche in alveo, oltre alle difficoltà incontrate lungo tutto il percorso, come il superamento degli impianti dei traghetti e dei molini natanti, allora molto frequenti.
 
Il percorso compiuto dalla peota nel 1731 da Venezia a Torino2 SETTEMBRE 1731: IL BUCINTORO DEI SAVOIA ARRIVA A TORINO
Il 2 settembre il convoglio sfila davanti al porto fluviale della città, situato presso il Ponte di Po, quindi raggiunge la destinazione, alla tettoia appositamente allestita per il Bucintoro, presso il Castello del Valentino, oggi sede storica della Facoltà di Ingegneria. La navigazione è durata 31 giorni. Il frate rimarrà ospite ancora qualche mese a Torino, presso l’Ammiraglio del Po, il tempo necessario al Primo Architetto di corte, il messinese Filippo Juvarra, per preparare la sua relazione, in cui indica come congrua la richiesta presentata in fattura dai rappresentanti dei costruttori veneziani di 19.597 Lire di Piemonte, comprensiva delle spese di trasporto. E’ questo il documento d’archivio più dettagliato di cui disponiamo, ed è stato ampiamente utilizzato durante il restauro per la migliore comprensione dell’imbarcazione lusoria.  Quindi la Camera dei Conti sabauda autorizza il pagamento richiesto e viene emessa una lettera di credito su di un banchiere veneziano  per l’intera somma. Il frate potrà quindi, nel febbraio 1732, concludere la missione e tornarsene a Venezia, arricchito di una esperienza insolita, per un religioso.
 
La Reggia di Venaria RealeDALLE FESTE FLUVIALI ALLA DONAZIONE DI VITTORIO EMANUELE II
Da allora il Bucintoro sabaudo sarà protagonista di viaggi per acqua, feste fluviali, matrimoni regali e visite di Stato fino al 1873, quando Vittorio Emanuele II, ormai destinato al Tevere, lo lascerà in donazione ai Musei Civici Torinesi. Una speciale Convenzione di comodato con la Regione Piemonte ne ha permesso per il futuro la fruizione alla Reggia Sabauda della Venaria Reale, riportata all’antico splendore e diventata una tra le  maggiori attrazioni turistiche del nord Italia.
 
UN RESTAURO COSTATO 250.000 EURO
Alla fine del mio studio ho potuto procedere anche alla ricostruzione computer grafica della vela e delle tre bandiere sulla base delle descrizioni esistenti nei documenti dell’Archivio di Stato di Torino: quella prodiera, usata in navigazione, la fiamma e lo stendardo, alzato quando il re era a bordo. Mi auguro che nel prossimo futuro sia possibile  presentare ai visitatori  anche queste ricostruzioni: sarebbe la migliore conclusione per un restauro, costato sinora 250.000 euro, interamente finanziato dalla Consulta per la valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, presso l’Unione Industriale. 
 
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